San Giovanni della Croce: sui direttori spirituali

Fiamma Viva B III,30-62

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30. Quanto al primo, l'anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione deve ben considerare in quali mani si affida, perché il discepolo sarà come il maestro e il figlio come il padre. Ma sappia bene l'anima che difficilmente si trova una guida che abbia tutte le qualità richieste per condurla nella parte più alta del cammino di perfezione o anche in quella meno elevata. Il direttore spirituale, oltre a essere saggio e prudente, dev'essere anche sperimentato. Infatti, se è vero che per guidare un'anima sono fondamentali la scienza e la prudenza, tuttavia se il direttore non ha esperienza di ciò che è la vita puramente e veramente spirituale, non sarà capace di guidare l'anima allorquando Dio vorrà condurvela, anzi non comprenderà nulla.

 

31. Così, molti direttori spirituali arrecano gravi danni a parecchie ani me, perché non comprendono le vie dello spirito e le loro prerogative. Di conseguenza, abitualmente fanno perdere alle anime l’unzione di quei deliziosi profumi con i quali lo Spirito Santo le gratifica e le dispone a unirsi a lui. Insegnano a queste anime metodi poco validi, che hanno usato loro stessi o letto da qualche parte ma che servono solo ai principianti. Ora, siccome conoscono solamente quanto occorre ai principianti - e piaccia a Dio che sia almeno così! -, non vogliono che le anime vadano oltre i principi e i metodi discorsivi o immaginari, nonostante Dio voglia portarle fuori da questo stadio. Impediscono alle anime di superare i limiti delle loro capacità naturali, e così esse non fanno molti progressi.

 

32. Per comprendere meglio questa condizione dei principianti è opportuno ricordare che lo stato e gli esercizi annessi dei principianti consistono nel meditare ed emettere atti ed esercizi discorsivi con l'aiuto dell’immaginazione. Una volta in questo stato, occorre che venga fornita necessariamente all’anima materia su cui meditare e discorrere. Da parte sua, poi, l’anima deve emettere atti interiori e approfittare del gusto e della gioia sensibile che prova nelle cose spirituali. Difatti, nutrendo le sue potenze con il sapore delle cose spirituali, essa si distacca da quello delle cose sensibili e muore alle vanità del mondo.

Ma quando le potenze cominciano a nutrirsi e ad abituarsi in qualche modo alle realtà dello spirito, ove attingono una certa forza e costanza, Dio non tarda, come si dice, a distaccare l'anima e a farla entrare nello stato di contemplazione. Di solito, tale favore si verifica in alcune persone molto presto, soprattutto se religiosi o religiose, perché, avendo rinunciato assai per tempo alle cose del mondo, conformano i loro sensi e le loro tendenze alla volontà di Dio e si esercitano nelle cose spirituali con l’aiuto di Dio. Questo cambiamento avviene quando cessano gli atti discorsivi e la meditazione propria e quando l'anima viene privata dei gusti e del fervore sensibile degli inizi. In breve, l'anima non può discorrere come prima né trova alcun punto d'appoggio nei sensi, perché sono nell’aridità, in quanto le loro ricchezze sono passate allo spirito che non cade sotto il potere dei sensi.

Ora, siccome l'anima, secondo l'ordine della natura, non può fare nulla da sé e ha bisogno della mediazione dei sensi, ne segue che in questo stato ormai è Dio ad agire e l'anima deve ricevere passivamente il suo intervento e comportarsi come quella che riceve e subisce. Dio, d’altro canto, si comporta come colui che dà e agisce in lei, accordandole beni spirituali nella contemplazione, che è conoscenza e amore divino insieme, cioè una conoscenza piena d'amore, senza che l'anima debba ricorrere ai suoi atti e discorsi naturali, perché non può più utilizzarli come faceva prima.

 

33. Da quanto esposto, è chiaro che l'anima, giunta a questo stato,deve seguire un metodo diverso da quello adottato in precedenza. Se prima le veniva offerto un soggetto da meditare e meditava, ora le viene tolto ogni soggetto di meditazione e non deve più meditare; del resto, non potrebbe farlo anche se volesse, e invece di raccogliersi cadrebbe nella distrazione. Se prima cercava gusto e fervore e lo trovava, ora non li vuole e non li cerca, perché non solo non li troverebbe malgrado la sua diligenza, ma avrebbe solo aridità. Qualora volesse servirsi dei sensi, si distoglierebbe da questo bene pacifico e sereno che Dio le va a poco a poco infondendo nello spirito. Così, perdendo l'uno, essa non otterrebbe l'altro, dal momento che i beni non le vengono più comunicati attraverso i sensi come accadeva prima. Per questo, nel presente stato, non bisogna mai imporre all’anima l'obbligo di meditare, di produrre ragionamenti o di cercare gusto e fervore. Questo equivarrebbe a mettere ostacoli all’agente principale che, come ripeto, è Dio. È lui che segretamente e pacificamente diffonde poco alla volta nell’anima sapienza e conoscenza piena d'amore, senza ricorrere ad atti specifici anche se a volte lo fa per qualche tempo. L'anima deve, dunque, impegnare con amore la sua attenzione verso Dio, senza atti specifici; deve comportarsi passivamente, senza alcuno sforzo da parte sua, ma rivolgere a Dio un'attenzione piena d'amore, semplice e pura, come chi apre gli occhi per guardare con amore.

 

34. poiché Dio, nel suo modo di agire, si comunica all’anima attraverso una conoscenza semplice e piena d'amore, a sua volta l'anima nel ricevere tale conoscenza deve rapportarsi a Dio attraverso una conoscenza altrettanto semplice e piena d'amore. In tal modo la conoscenza e l'amore dell’uno si uniranno alla conoscenza e all’amore dell’altra. È opportuno che chi riceve, si adegui a ciò che riceve e non agisca diversamente,[4] al fine di riceverlo e conservarlo come gli viene dato, perché nell’ordine naturale, come dicono i filosofi, tutto ciò che si riceve, è ricevuto secondo le modalità del, soggetto che riceve.

È dunque chiaro che se l'anima non abbandona il suo modo d'agire naturale, riceverà quel bene, di cui si parla qui, attraverso modalità naturali: quindi non lo riceverà affatto, anzi resterà sola con le sue capacità naturali. Il soprannaturale, infatti, non può essere contenuto entro capacità naturali, perché le sorpassa infinitamente. Per questo motivo, se l'anima volesse agire secondo la sua natura umana, ricorrendo ad altre forme che non siano questa conoscenza piena d'amore, passiva, di cui ho parlato, anziché restare in assoluta passività, senza emettere alcun atto naturale, se non quando Dio ve la spinge, creerebbe ostacoli ai beni che Dio le infonde soprannaturalmente in una conoscenza piena d'amore. Questo favore si verifica all’inizio del cammino spirituale, quando l'anima attraversa dolorosamente la purificazione interiore, come ho detto sopra, ma in seguito diviene amore soave.

Se, ripeto, ed è vero, questa conoscenza piena d'amore è ricevuta passivamente nell’anima secondo le modalità soprannaturali di Dio, non secondo le capacità naturali dell’anima, ne segue che l'anima, per riceverla, deve assolutamente rinunciare al suo modo naturale d'agire; dev'essere libera, inattiva, quieta, pacifica e serena, come piace a Dio. Dev'essere come l'aria che tanto più riceve luce e calore del sole quanto più è pura, libera dai vapori, purificata e calma. L’anima, quindi, non dev'essere attaccata a nulla, né all’esercizio della meditazione discorsiva, né ad alcun gusto sensibile o spirituale, né a qualsiasi altro modo naturale d'agire. Occorre che lo spirito sia molto libero e indifferente rispetto a tutte le cose create, cioè ad ogni pensiero, discorso o gioia, realtà creaturali in cui, se l'anima volesse servirsene, troverebbe un ostacolo. Anzi queste realtà turberebbero quel silenzio profondo che l'anima deve coltivare nei sensi e nello spirito, per ascoltare la parola divina così profonda e delicata. Dio, infatti, parla al cuore nel deserto, dichiara Osea (2,16), e l'anima, secondo Davide (Sal 84[85],9), deve diventare capace di ascoltare in un clima di pace e tranquillità assoluta, perché il Signore Dio le parla e comunica pace nella profonda solitudine.

 

35. Pertanto, quando l'anima percepisce di essere introdotta in questo silenzio per ben ascoltare, deve dimenticare anche l'attenzione piena d'amore di cui parlavo sopra, al fine di rimanere libera rispetto a tutto ciò che il Signore le chiede in quel momento. Deve ricorrere alla conoscenza piena d'amore solo quando non percepisce di essere introdotta in questa solitudine o inattività interiore, nell’oblio di ogni cosa o nell’attesa di una comunicazione spirituale, cose tutte che accadono sempre accompagnate da una quiete piena di pace e da un rapimento interiore.

 

36. Questo spiega perché, in qualunque momento l'anima cominci a entrare in questo stato semplice e inattivo di contemplazione, che si verifica quando non può più meditare e non riesce a farlo, non deve sforzarsi di farlo né aggrapparsi a gusti e gioie spirituali; al contrario, deve starsene al suo posto, senza alcun sostegno umano, interiormente affatto distaccata [da ogni cosa]. Deve compiere soprattutto ciò che faceva il profeta Abacuc, per disporsi ad ascoltare il Signore: Starò al mio posto di guardia, fermerò il piede sopra la fortezza e starò attento per vedere ciò che mi sarà detto (Ab 2,1). È come se dicesse: eleverò il mio pensiero al di sopra di tutte le operazioni e le conoscenze che possono cadere sotto i miei sensi, come pure al di sopra di tutto ciò che essi hanno potuto conservare e ritenere in sé, tralasciando ogni realtà umana. Fatto questo, starò diritto in piedi sui bastioni delle mie potenze e non permetterò ad esse di fare qualcosa, affinché io possa ricevere, attraverso la contemplazione, ciò che mi verrà comunicato da parte di Dio. In realtà, l'ho già detto, la contemplazione pura consiste nel ricevere.

 

37. Non è possibile che quest'altissima sapienza e parola di Dio, qual è questa contemplazione, possa essere ricevuta se lo spirito non rimane nel silenzio e distaccato da tutte le consolazioni e conoscenze discorsive. Ciò è quanto afferma Isaia in questi termini: A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole far udire il discorso? E risponde lui stesso: Ai bambini divezzati, appena staccati dal seno (Is 28,9), cioè a coloro che sono distaccati dai gusti e dai sapori delle conoscenze e delle percezioni particolari.

 

38. O tu che ti dedichi alle cose dello spirito, togli dal tuo occhio i brui: scoli e le pagliuzze, dissipa le nebbie! Purificalo, e il sole brillerà e vedrai l[ chiaramente! Acquieta l’anima, staccandola e liberandola dal gusto e dalla servitù delle deboli operazioni della sua capacità umana. Questa è la schiavitù d'Egitto, dove tutto si riduce a impastare paglia per cuocere argilla (Es 1,14; 5,7-19); e guidala, o maestro spirituale, verso la terra promessa dove scorre latte e miele (Es 3,8.17; 13,5; 33,3; Lv 20,24; D t 6,3; 26,9; Sir 46,8), Ricorda che per questa libertà e santo riposo di figli di Dio egli la chiama nel deserto,[6] dove possa indossare abiti di festa e adornarsi di gioielli d'oro e d'argento (Es 32,2-3; 33,5), dopo aver spogliato l'Egitto, cioè la parte sensitiva, lasciandolo privo delle sue ricchezze (Es 12,33-36); non solo, ma affoga gli egizi nel mare (Es 14,27-30) della contemplazione, dove l'egizio del senso, non trovando appoggio per il piede né sostegno, annega, lasciando libero il figlio di Dio, che è lo spirito uscito dai limiti angusti e dalla schiavitù dell’operazione dei sensi, cioè il suo modo umano di intendere, il suo poco amore e i suoi gusti naturali. Solo allora Dio le offrirà la manna deliziosa (Es 16,13-25.33-35; Nm 11,6-9), il cui sapore sorpassa tutti i sapori e i gusti (Sap 16,20-21) a cui il direttore spirituale vorrebbe condurre l'anima con i suoi sforzi. Ciò nonostante, siccome questo alimento ha un sapore talmente delicato da squagliarsi in bocca, l'anima non lo potrà gustare se vorrà mescolarlo con qualche altro sapore o un altro alimento.

Quando l’anima si avvicina a questo stato, cerchi il padre spirituale di staccarla da tutti i desideri rivolti alle consolazioni, alle dolcezze, ai gusti e alle meditazioni spirituali. Non la turbi con preoccupazioni o sollecitudini di alcun genere per le cose spirituali e meno ancora per quelle terrene. Le suggerisca il distacco e la solitudine più che sia possibile. Più l'anima abbraccerà tale distacco e solitudine, più in fretta perverrà alla pacifica tranquillità e con più abbondanza riceverà lo spirito della sapienza divina, che è pieno d'amore, tranquillo, solitario, pacifico, soave e inebriante. È a questo punto che lo spirito si sente ferito e rapito teneramente e dolcemente, senza comprendere chi produca questo effetto, né da dove venga, né come agisca. Questo perché tutto accade senza il concorso della persona in questione.

 

39. Un minimo di quanto Dio opera nell’anima quando si trova in questo santo riposo e in questa solitudine è un bene inestimabile e a volte molto superiore a quanto l'anima e il suo direttore spirituale possano immaginare. E sebbene in quel momento non si riconosca l'importanza di un simile favore, a tempo debito lo si scoprirà. Il meno che l'anima al presente può riuscire a percepire è un distacco e un allontanamento, più o meno sensibile, da tutte le cose; si sente, altresì, portata alla solitudine; le danno fastidio tutte le creature di questo mondo; respira i profumi soavi dell’a more e della vita spirituale. Tutto ciò che non rientra in quest'ambito, per essa è solo vuoto, perché, si dice, se lo spirito è nella gioia, la carne diventa insipida.

 

40. Ma i beni che la comunicazione silenziosa e la contemplazione imprimono nell’anima, senza che essa se ne accorga sul momento, sono, ripeto, inestimabili. Difatti, sono unzioni molto misteriose, quindi delicatissime dello Spirito Santo che riempiono segretamente l'anima di ricchezze, doni e grazie spirituali. poiché è Dio che accorda tutte queste cose, agisce nientemeno che da Dio.

 

41. Le unzioni così varie dello Spirito sono, dunque, delicate e sublimi. Sono talmente spirituali e pure da non essere comprese né dall’anima né dal suo padre spirituale, ma solo dallo Spirito che ne conosce il prezzo e arricchisce l'anima per rendersela più gradita. Ma ci vuole poco perché l'anima perda queste unzioni: basta il più piccolo atto che essa voglia compiere con l'ausilio della memoria, dell’intelletto o della volontà, oppure la minima applicazione dei suoi sensi, appetiti o conoscenze o, infine, aggrapparsi al più piccolo piacere o alla più piccola consolazione per disturbare od ostacolare simili unzioni. Che peccato, che danno, che dolore vedere l'anima in simili condizioni!

 

42. Oh, fatto grave e degno di attenta considerazione! Sembrerebbe quasi un nonnulla il danno provocato e ciò che si è interposto in quelle sante unzioni.

E tuttavia il danno che ne risulta è più grande, più doloroso, più spiacevole che veder turbare e far perdere molte anime comuni che non sono in uno stadio tanto sublime e splendido. Proprio come se un volto finemente e delicatamente dipinto fosse ritoccato da una mano rozza con colori brutti e grossolani: il danno sarebbe maggiore che se questa mano cancellasse molte immagini di fattura dozzinale. Chi potrà mai imitare l’opera di quella mano così delicata, ossia dello Spirito Santo, deturpata da un'altra mano grossolana?

 

43. Ora, questo danno, che è così grave da non poterlo descrivere, è tuttavia tanto comune e frequente che difficilmente si può trovare un maestro spirituale che non lo causi alle anime che Dio comincia a introdurre in questa sorta di contemplazione. Difatti, ogni volta che Dio dona la sua unzione a un'anima contemplativa, lo fa in un modo molto delicato, accordandole una conoscenza piena d'amore, serena, pacifica, solitaria, molto lontana dai sensi e da tutto ciò che si possa pensare. Arricchita di questa conoscenza, l’anima non può meditare né pensare a nulla, né può gustare le cose spirituali o terrene, perché Dio la tiene occupata in quelL’unzione solitaria; per di più la inclina all’inattività e alla solitudine. A un certo punto interviene un maestro spirituale il quale non sa altro che dare colpi di martello e forgiare le facoltà al pari di un fabbro, perché incapace. E poiché sa solo meditare, dirà all’anima: «Via, lascia queste bagatelle, che sono ozio e perdita di tempo; piuttosto riprendi a meditare e fa' atti interiori. Occorre che faccia quanto sta in te, perché tutto il resto sono solo illusioni e sciocchezze».

 

44. Simili direttori spirituali non comprendono nulla dei diversi gradi d'orazione né delle vie dello spirito. Non si rendono conto che il metodo di questi esercizi di meditazione discorsiva che impongono all’anima è già superato, perché essa è già pervenuta alla negazione e al silenzio dei sensi e della meditazione discorsiva; in breve, è già sulla via dello spirito o della contemplazione, nella quale cessa l'attività dei sensi e del ragionamento proprio dell’anima. Qui agisce solo Dio. Egli parla segretamente all’anima solitaria, mentre questa rimane nel silenzio. Ma quando ha raggiunto questo stadio dello spirito, come ho spiegato sopra, se la si obbliga a camminare con l'aiuto dei sensi, l'anima necessariamente tornerà indietro e cadrà in mille distrazioni. Chi, infatti, è arrivato alla meta e vuole camminare ancora per raggiungerla, oltre a compiere un'azione ridicola, necessariamente se ne allontana.

E così, per colui che è pervenuto, attraverso le operazioni delle sue potenze, al raccoglimento pieno di pace che ogni persona spirituale cerca limite massimo ove cessano le attività delle potenze -, non solo sarebbe inutile riprendere ad agire con le facoltà per raggiungere il suddetto raccoglimento, ma sarebbe molto svantaggioso per lui, perché distraendosi in questo inutile esercizio perderebbe il raccoglimento già raggiunto.

 

45. Torno a ripetere: questi maestri spirituali non comprendono affatto cosa sia il raccoglimento o la solitudine spirituale dell’anima in tutte le sue prerogative. Ignorano che Dio introduce l’anima in questa solitudine per arricchirla delle suddette sublimi unzioni. Essi, invece, sovrappongono a queste unzioni e mescolano ad esse altri unguenti d'esercizio spirituale più basso, forzano l'anima ad agire da se, come si è detto prima. Ora, tra questo stato e quello in cui si trovava l’anima vi è tanta differenza quanto quella che intercorre tra un’opera umana e un'opera divina, tra il naturale e il soprannaturale. Nel primo caso, infatti, è Dio che agisce soprannaturalmente nell’anima, nell’altro è l’anima che agisce in maniera naturale.

Più deplorevole è il fatto che, per agire in maniera naturale, l'anima perde la solitudine e il raccoglimento interiore e, quindi, l'opera sublime che Dio stava dipingendo nel suo intimo. Così tutto il suo lavoro si riduce a battere sull'incudine, perdendo da una parte e non guadagnando nulla dall’altra.

 

46. I direttori spirituali devono sapere e convincersi che l'agente principale, la guida e il movente delle anime in questa faccenda non sono essi, ma lo Spirito Santo, che non cessa mai di averne cura. Essi sono soltanto strumenti per indirizzarle alla perfezione, attraverso la fede e la legge di Dio, secondo i doni che il Signore accorda a ciascun'anima.

Tutta la loro preoccupazione sia non di conformare le anime alloro metodo e punto di vista, ma di giungere a sapere dove Dio le voglia condurre; e se non lo sanno, le lascino stare e non le turbino. Secondo il cammino e lo spirito attraverso cui Dio vorrà condurle, cerchino di indirizzare le anime sempre verso una maggior solitudine, tranquillità e libertà di spirito; facciano in modo che esse non attacchino i sensi corporali o spirituali a nessuna cosa particolare interiore o esteriore, quando Dio le guida attraverso il cammino della solitudine. Non si preoccupino pensando che l'anima non faccia nulla, perché, anche se essa non agisse, è Dio che agisce in lei.

Cerchino di guidare l'anima al distacco, alla [solitudine e] all’inattività, di modo che non si attacchi ad alcuna conoscenza particolare celeste o terrena, né abbia il desiderio di alcun gusto o piacere o di qualsiasi altra percezione. Occorre, insomma, che l'anima sia completamente distaccata da tutte le creature e pratichi con impegno la povertà spirituale. Ciò è quanto deve fare l'anima da parte sua, come consiglia il Figlio di Dio in questi termini: Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi) non può essere mio discepolo (Lc 14,33). Questa verità non si riferisce solo alla rinuncia della volontà a tutte le cose temporali, ma anche a quelle spirituali, in cui consiste la povertà spirituale, che il Figlio di Dio eleva a beatitudine (Mt 5,3).

Quando l’anima è così distaccata da ogni cosa, ha raggiunto uno spogliamento totale e, ripeto, ha compiuto tutto ciò che poteva compiere da parte sua, è impossibile che Dio, a sua volta, non faccia ciò che è in suo potere per comunicarsi ad essa, almeno in segreto.

Come, del resto, è impossibile che il raggio del sole non illumini uno spazio sereno e sgombro; come il sole che sorge e illumina la tua casa può entrare se gli apri la finestra, così Dio, che non dorme per guardare Israele (Sal 120[121],4), entrerà nell’anima vuota e la colmerà di beni divini.

 

47. Dio è pronto a penetrare nelle anime per comunicarsi loro, come il sole in una casa. I direttori spirituali, perciò, devono contentarsi di predisporre le anime a ricevere l'intervento divino, secondo i principi della perfezione evangelica, cioè abnegazione e spogliamento dei sensi e dello spirito. Si guarderanno bene dal costruire l'edificio, perché questo compito spetta solo al Padre della luce, dal quale discende ogni buon regalo e ogni dono perfetto (Gc 1,17). Davide aggiunge: Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori (Sal 126[127],1), Ora, siccome Dio è l'artefice soprannaturale, edificherà soprannaturalmente in ogni anima l'edificio che vorrà. Quanto a te, padre spirituale, il tuo compito consiste nel preparare l’anima, guidandola alla rinuncia relativamente alle sue operazioni e ai suoi affetti naturali, che del resto non hanno la capacità né la forza per costruire questo edificio soprannaturale; se agisci diversamente, le procuri solo agitazione anziché esserle d'aiuto. Questa preparazione dell’anima dipende da te, mentre, come dice il Saggio, spetta al Signore dirigere i suoi passi (Pro 16,9) verso i beni soprannaturali, in modi e forme che né l'anima né tu potete comprendere.

Non dire dunque: l'anima non progredisce perché non fa nulla. Se è vero, infatti, che non fa nulla, proprio perché non agisce, posso provarti che sta facendo molto. In realtà, se l'intelletto è distaccato da tutte le sue conoscenze particolari, sia naturali che spirituali, va avanti; e quanto più si asterrà dall’occuparsi di conoscenze particolari o dal cercare di comprendere, tanto più l'intelletto andrà avanti verso il supremo bene soprannaturale.

 

48. E non dire nemmeno: l'anima non ha nessuna conoscenza distinta e perciò non può fare progressi. Rispondo: se l’anima ne avesse, non progredirebbe di certo. Questo perché Dio, verso cui si dirige l'intelletto, lo trascende: è quindi incomprensibile e inaccessibile all’intelletto. Di conseguenza quando l'intelletto agisce, non si avvicina a Dio, ma piuttosto se ne allontana. Deve interrompere la sua attività per avvicinarsi a Dio, camminare nella fede e credere senza comprendere. In questo modo l'intelletto arriva alla perfezione, perché si unisce a Dio per fede e non con altro mezzo: l'anima si avvicina di più a lui non comprendendo che comprendendo. Pertanto non preoccuparti di questo punto, perché se l'intelletto [non] torna indietro - il che accadrebbe se volesse occuparsi di conoscenze distinte, ragionamenti o altri atti intellettuali, anziché restare inattivo - va avanti, poiché si va purificando da tutto ciò che aveva in sé stesso. Nulla di tutte queste cose è Dio, come si è detto. Dio non può occupare un cuore che non è distaccato da tutte le cose create.

In materia di perfezione, il non tornare indietro è andare avanti, e il progredire dell’intelletto è addentrarsi sempre più nella fede, quindi entrare sempre più nel buio, perché la fede è tenebra per l'intelletto. Poiché l'intelletto non può conoscere Dio com’egli è, deve camminare affIdandosi a lui, senza comprendere. Perciò, per trovarsi bene, deve proprio fare ciò che tu condanni, cioè non affidarsi a conoscenze distinte, con le quali non può arrivare a Dio, ma deve piuttosto liberarsene per giungere a lui.

 

49. O dirai ancora: se l'intelletto non ha conoscenze distinte, la volontà rimarrà oziosa e non amerà, cosa da evitare sempre nel cammino spii rituale, perché la volontà non può amare se non quello che l'intelletto conosce.

Questo è vero, soprattutto nelle operazioni e negli atti naturali dell’anima, nei quali la volontà ama solo ciò che l'intelletto comprende distintamente; ma nella contemplazione di cui sto parlando, durante la quale - ripeto - Dio si comunica all’anima, non è necessario che ci sia una conoscenza distinta né che l'anima compia atti d'intelligenza, perché Dio in un solo atto le comunica insieme luce e amore. Si tratta, allora, di conoscenza soprannaturale, piena d'amore, paragonabile alla luce intensa che riscalda e, nello stesso tempo, illumina e fa innamorare. E tuttavia rimane confusa e oscura per l'intelletto, perché è conoscenza da contemplazione, che, come dice san Dionigi, è raggio di tenebra per l'intelletto.

Come avviene per la conoscenza nell’intelletto, così è per l'amore nella volontà. Come nell’intelletto la conoscenza che Dio infonde è generale e oscura, senza intelligenza chiara e distinta, così la volontà ama in generale, b senza alcuna distinzione di cose intese particolarmente. poiché Dio è luce divina e amore, quando si comunica all’anima ugualmente informa queste due potenze, intelletto e volontà, con intelligenza e amore. Ciò nonostante, essendo egli incomprensibile in questa vita, sia l'intelligenza che l'amore nei suoi confronti saranno oscuri, cioè incapaci di accedere a lui.

A volte, quando Dio si comunica in tutta dolcezza all’anima, si dona e ferisce più una potenza che l'altra, ragion per cui, ad esempio, talvolta si percepisce più conoscenza che amore, tal altra più amore che intelligenza; altre volte ancora si può percepire solo conoscenza senza provare amore, oppure solo amore senza alcuna conoscenza.

Pertanto, ripeto, riguardo agli atti naturali che compie da sé mediante l'intelletto, l'anima non può amare senza comprendere; al contrario, riguardo a ciò che Dio opera e infonde in essa, come nello stato di cui sto parlando, le cose vanno diversamente, perché Dio può comunicarsi a una potenza senza bisogno dell’intervento dell’altra; può, per esempio, infiammare la volontà con il tocco del calore del suo amore, anche se l'intelletto non comprende, come può accadere che una persona senta il calore del fuoco senza vederlo.

 

50. In questo modo, la volontà si percepirà spesso infiammata, intenerita o innamorata, senza conoscere né comprendere più di prima. In realtà, è Dio che fa crescere in essa l'amore, come dice la sposa del Cantico dei Cantici: Mi ha introdotta nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore (Ct 2,4).

Non vi è, dunque, da temere quando l'anima è nell’inattività, perché se cessa di compiere atti d'amore su conoscenze particolari, Dio li compie in essa, inebriandola segretamente di amore infuso o tramite la conoscenza della contemplazione o senza di essa, come ho appena detto. In confronto con quelli che potrebbe compiere l'anima, questi atti d'amore sono tanto più gustosi e meritori, quanto più grande è colui che opera e infonde quest’amore, cioè Dio stesso.

 

51. Dio infonde tale amore nell’anima quando essa è completamente di staccata da tutti i gusti e affetti particolari sia celesti che terreni. Occorre, dunque, far attenzione che la volontà sia vuota e libera da tutti i suoi affetti. Se essa non torna indietro, in cerca di qualche gusto o piacere, anche se non ne senta qualcuno in modo particolare in Dio, certamente va avanti. Si eleva al di sopra di ogni cosa per andare a Dio, perché non prova piacere in nessuna cosa creata. Anche se non gusta Dio in modo particolare e distinto e non lo ama con atto distinto, tuttavia lo gusta in modo generale, oscuro e segreto, in questa grazia infusa, più di quanto possa gustare tutte le conoscenze distinte. Essa, infatti, vede chiaramente che nessuna di queste conoscenze le procura tanto piacere quanto la quiete solitaria. In breve, l’anima ama Dio più di tutte le cose amabili, perché ha rinunciato a tutti gli altri piaceri e alle gioie di questo mondo, anzi ne prova disgusto.

Non dobbiamo, quindi, preoccuparci quando la volontà non può fissarsi su gusti e piaceri di atti particolari, perché certamente va avanti. Se non torna indietro per attaccarsi a qualcosa di sensibile, certamente prosegue il suo cammino verso l'inaccessibile, che è Dio; non ci si deve quindi stupire se non lo sente.

Pertanto, se la volontà vuole andare a Dio, non deve attaccarsi a niente di ciò che le procura piacere e soddisfazione, ma deve distaccarsene completamente. Così compie il precetto dell’amore, che ci comanda di amare Dio sopra tutte le cose; ma potrà riuscire in quest'impresa solo se praticherà il distacco e il rinnegamento di tutte le cose.

 

52. Non vi è neppure da temere se la memoria resta senza le sue forme e figure. Siccome Dio non ha forma né figura, l’anima priva di queste va più sicura e si avvicina sempre più a Dio. Quanto più si appoggia all’immaginazione, tanto più si allontana da Dio e correrà pericoli, perché Dio, essendo incomprensibile, non può essere compreso dall’immaginazione.

 

53. I suddetti maestri spirituali, dunque, non comprendono le anime che praticano già la contemplazione pacifica e solitaria. Essi non l'hanno raggiunta e ignorano come superare l’orazione discorsiva o meditazione; pensano che queste anime siano nell’ozio, ragion per cui le disturbano e impediscono loro di godere della pace di tale contemplazione tranquilla e quieta, che Dio accorda loro. Obbligano le anime a riprendere il cammino della meditazione o del discorso immaginario e a moltiplicare gli atti interiori. Tale metodo provoca in esse grande ripugnanza, aridità e distrazione, perché vorrebbero rimanere nel loro santo ozio e nel loro quieto e sereno raccoglimento. Ora, in questo stato, poiché i loro sensi non trovano alcun appoggio né gusto né cosa fare, detti maestri le convincono a cercare dolcezze e consolazioni, mentre dovrebbero consigliare loro il contrario. Ma le anime, non potendo più obbedire né comportarsi come in passato, I perché quel tempo se n'è andato e non è più questa la loro via, si turbano molto pensando d'essersi smarrite. E i loro maestri le confermano in questa convinzione, gettandole nell’aridità e sottraendo loro quelle unzioni preziose che Dio offriva nella solitudine e nella pace. In questo modo, ripeto, recano loro un grave danno e le gettano in una grande desolazione, perché da una parte regrediscono e, dall’altra, soffrono senza alcun profitto.

 

54. Simili direttori ignorano che cosa sia la vita spirituale. Offendono profondamente Dio e gli mancano di rispetto mettendo la loro rozza mano nella sua opera. Siccome è costato molto a Dio condurre queste anime fino al punto in cui sono, egli considera molto importante averle condotte a questa solitudine, ove mette a tacere le loro potenze e operazioni, per poter parlare alloro cuore, cosa da lui sempre desiderata. Ora è lui a guidare le anime, essendo l'unico a regnare in esse con grande pace e serenità. A tale riguardo, arresta l'attività naturale delle loro potenze, che le induceva a lavorare tutta la notte (Cfr. Lc 5,5) senza ottenere nessun risultato. Le nutre senza passare attraverso i sensi o la loro collaborazione, perché né i sensi né la loro cooperazione possono raggiungere la sfera dello spirito.

 

55. Quanto il Signore stimi questa tranquillità, questo sonno o annientamento dei sensi, si può dedurre chiaramente dalla supplica straordinaria ed efficace che lo Sposo rivolge nel Cantico dei Cantici in questi termini: Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per le gazzelle e per le cerve dei campi: non destate, non scuotete dal sonno l’amata finché essa non lo voglia (Ct 3,5). Con queste parole il Signore ci fa comprendere quanto apprezzi questo sonno e oblio solitario, citando quegli animali così appartati e schivi. Al contrario, quei maestri spirituali non vogliono lasciare l'anima nel riposo e nella quiete; la obbligano a lavorare senza sosta e ad agire in modo da non lasciare spazio all’azione di Dio, persino a distruggerla o a farla sparire con l'attività dell’anima. Sono divenuti come le volpi piccoline che guastano la vigna fiorita dell’anima (Ct 2,15). Di essi si lamenta il Signore per bocca di Isaia: Voi avete devastato la vigna (Is 3,14).

 

56. Essi, però, forse sbagliano con retta intenzione, perché il loro sapere non arriva a tanto. Ma non per questo sono scusati per i consigli che danno temerariamente, senza prima conoscere la via che percorre l’anima né lo spirito che la guida. Dal momento che non comprendono quest’anima, intromettono la loro rozza mano in cose che non conoscono e non lasciano fare a chi la capisce. Non è cosa di poco conto né una colpa lieve far perdere a un'anima beni inestimabili o, a volte, ridurla a mal partito con un consiglio temerario.

Perciò chi sbaglia per temerarietà, mentre dovrebbe dare un giudizio giusto, come sono obbligati a darlo tutti coloro che esercitano un ministero, non eviterà il castigo commisurato al danno causato. Occorre occuparsi delle cose di Dio con molta circospezione e attenzione, soprattutto in casi tanto importanti e in faccende così sublimi come quelle delle anime, dove sono in gioco beni e mali quasi infiniti, a seconda che la direzione spirituale sia giusta o sbagliata.

 

57. Se, a questo punto, vuol obiettare che hai qualche attenuante, sebbene io non la veda, non puoi però scusare un direttore spirituale che non permetta a un'anima di sottrarsi alla sua autorità, per motivi umani o intenzioni che lui solo conosce ma che non resteranno impuniti. È certo che l'anima avanzata nel cammino spirituale, dove con l'aiuto costante di Dio fa ulteriori progressi, deve cambiare il suo metodo e modo di pregare. Ormai ha bisogno di una dottrina più elevata che quella del suo direttore, e di un altro spirito.

Non tutti i direttori spirituali, infatti, hanno la scienza adatta per risolvere tutti i casi della via spirituale, né hanno l'esperienza sufficiente per discernere come l'anima debba essere guidata e retta nei diversi stati della vita spirituale.

O almeno non devono pensare di possedere tutti i requisiti necessari e che Dio non vuole elevare l’anima più in alto.

Non tutti quelli che sanno sgrossare il tronco sanno anche scolpire una statua, né tutti quelli che sanno scolpirla sanno poi ritoccarla e rifinirla, e non tutti quelli che sanno rifinirla sanno pitturarla, né tutti quelli che sanno pitturarla sapranno dare gli ultimi ritocchi per renderla perfetta. ognuno può fare alla statua solo ciò che sa fare, e se volesse fare di più rischierebbe di rovinarla.

 

58. Posto ciò, mi rivolgo a te, padre spirituale. Se sai solo sbozzare, cioè inculcare a un'anima il disprezzo del mondo e la mortificazione dei suoi appetiti; se, al massimo, sai scolpire, cioè insegnare a un'anima a fare delle sante meditazioni, e non sai fare altro, come potrai condurre quest'anima all’ultima perfezione della più fine pittura? In questo caso, non si tratta più di abbozzare, scolpire o rifinire, ma dell’opera che Dio solo può compiere nell’anima.

Ora, è certo che se obblighi l'anima a seguire i tuoi soliti insegnamenti, o tornerà indietro o, perlomeno, non andrà avanti. Dimmi, ti prego: che sarà di una statua se non farai altro che darle martellate e sgrossarla? Voglio dire, che sarà dell’anima se continui a farle esercitare le sue potenze? Quando verrà ultimata quest'immagine? Quando e come permetterai a Dio di dipingerla? È possibile che tu possa compiere nei confronti dell’anima tutte queste funzioni e ti ritenga tanto sperimentato nella perfezione, al punto che l'anima non possa ricorrere a un altro direttore spirituale?

 

59. Ammesso che tu abbia tutte le qualità richieste per guidare un'anima in particolare, dal momento che essa non è in grado di andare avanti, è impossibile che tu abbia quanto occorre per dirigere tutte quelle che non lasci sottrarsi alla tua guida. Dio, infatti, conduce ogni anima per vie diverse, per cui difficilmente se ne può trovare una sola che per metà somigli a un’altra. Chi mai potrà dire, come san Paolo, di farsi tutto a tutti, per conquistare tutti (1Cor 9,22 Volg.)? Perché allora tiranneggi così le anime? Perché togli loro la libertà? Perché ti riservi il diritto di annunciare loro il vangelo? Non solo fai in modo che queste anime non ti lascino, ma, cosa peggiore, se per caso vieni a sapere che qualcuna di esse si è rivolta a un altro direttore per un consiglio - che forse era conveniente che non trattasse con te o forse Dio stesso l’aveva indotta a farlo perché le venisse insegnato qualcosa che tu non le insegni - la rimproveri (cosa che dico non senza vergogna) con dimostrazioni di gelosia tipiche degli sposati. Non è questo uno zelo dettato dall’onore di Dio o dal bene di quell'anima - non è il caso, infatti, che tu pensi che, lasciando te, abbia lasciato Dio - ma si tratta di una gelosia piena del tuo orgoglio, della tua presunzione o di qualche altra tua imperfezione.

 

60. Dio s'indigna profondamente con tali direttori e minaccia loro il castigo per bocca di Ezechiele: Vi nutrite di latte, vi rivestite di lana... ma non pascolate il gregge... Chiederò loro conto del mio gregge (Ez 34,3.10).

 

61. I direttori spirituali devono, dunque, rispettare la libertà delle anime e sono obbligati a far buon viso quando esse vorranno cercare una guida migliore. Difatti essi non sanno per quali vie vorrà Dio far progredire un’anima, soprattutto quando questa non è più soddisfatta della loro dottrina. Questo è un segno che indica che Dio sta conducendo l’anima più in alto o per una via diversa da quella del direttore spirituale oppure che questi ha cambiato metodo. In questo caso dev'essere lo stesso padre spirituale a consigliare all’anima di cercare un'altra guida. Agire diversamente sarebbe solo orgoglio o presunzione, oppure nasconderebbe qualche recondita pretesa.

 

62. Ma lasciamo da parte questo modo di fare per parlare di un altro metodo ancora più deleterio, adoperato da detti padri spirituali o da altri più imprudenti di loro. Può accadere, infatti, che Dio con la sua dolcezza ispiri ad alcune anime il santo desiderio di lasciare il mondo, di cambiar vita o usanze, di consacrarsi al suo servizio, di disprezzare le vanità di questa vita. Dio si compiace molto d'essere riuscito a portare dette anime fino a questo punto, perché le realtà del mondo sono molto diverse dalla volontà di Dio. Questo spiega perché tali direttori spirituali, con ragionamenti umani e con motivi contrari alla dottrina di Cristo, alla sua umiltà e al di sprezzo di tutte le cose, basandosi sui propri interessi o gusti personali, temono laddove non c’è da temere, creano difficoltà, oppongono dei ritardi o, peggio ancora, si adoperano per strappare dal cuore di queste anime i loro santi desideri. Spiriti poco devoti come sono e imbevuti della mentalità di questo mondo, non conoscono la dolcezza del Cristo. Non entrar:o per la porta stretta della vita (Mt 7,14) e non vi lasciano entrare gli altri. È contro costoro che il Salvatore lancia delle minacce, per bocca di san Luca: Guai a voi, che avete preso la chiave della scienza! Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito (Lc 11,52).

In realtà, questi direttori spirituali si pongono come spranghe od ostacoli alla porta del cielo per impedire che vi entrino coloro che chiedono consiglio, pur sapendo che Dio ha ordinato non solo di lasciare, ma di aiutare a entrare, anzi addirittura di spingere, come riferisce san Luca: Spingili a entrare, perché la mia casa si riempia di invitati (Lc 14,23). Essi invece li costringono a non entrare.

Così facendo, si mostrano ciechi che possono ostacolare la via di un'anima, ispirata dallo Spirito Santo. Ciò accade ai maestri spirituali in molti modi, come si è detto. Alcuni agiscono con cognizione di causa, altri per ignoranza. Ma sia gli uni che gli altri non scamperanno alla punizione, perché per il loro ministero dovevano farsi una cultura in merito e agire con prudenza.